La Prima Guerra Mondiale e l’arte

La Prima Guerra Mondiale e l’arte

Come avrebbe potuto l’artista, il soldato nell’artista, non lodare Dio per la caduta di un mondo di pace di cui era così sazio, così nauseato! Guerra! Quale senso di purificazione, di liberazione, d’immane speranza ci pervase allora!” così si esprimeva Thomas Mann agli albori della Prima Guerra Mondiale[i].

In questa posizione non era solo poiché la Prima Guerra Mondiale, per quanto incredibile possa oggi apparire, fu ampiamente sostenuta dall’elite culturale e intellettuale di tutta Europa.

La Monarchia Imperialregia

Arnold Schönberg, che nel 1916 componeva la marcia “Die Eiserne Brigade” (“La brigata di ferro”) per una serata tra soldati, o Oskar Kokoschka, che si arruolò volontario al servizio militare, sono buoni esempi dell’euforia nei confronti della guerra diffusa negli ambienti artistici austriaci.

Il noto violinista Fritz Kreisler ritornò di corsa dall’ospedale svizzero in cui era ricoverato per servire la madrepatria per morire poche settimane dopo sul fronte russo.

Egon Schiele e Albert Paris Gütersloh parteciparono nel 1917 alla mostra sulla guerra ospitata dal Prater di Vienna. Lo scopo della mostra era quello di rendere la guerra desiderabile, sminuendone gli orrori e rappresentandola in forma di gioco. C’erano ad esempio tiro a segno con sagome rappresentanti il nemico contro il quale si poteva sparare.

Compositori, musicisti, pittori, scrittori, poeti, filosofi, registi, giornalisti… l’elenco può ancora proseguire, tutti loro contribuirono con le proprie opere ad accrescere l’entusiasmo nei confronti della guerra, a mobilitare le masse e a “giustificare” moralmente il conflitto.

Nei dibattiti culturali l’arte ebbe un ruolo significativo ancor prima dell’avvento della Prima Guerra Mondiale, essendo considerata quale specchio, espressione o guida della cultura generale. Molti critici d’arte del tempo si servivano, non a caso, di aggettivi quali “sano” e “malato” nella valutazione di opere d’arte, artisti e movimenti.

Prosa bellica, poesie, feuilleton e romanzi a puntate rappresentavano i soldati come eroi, ed estetizzavano l’orribile guerra con i mezzi letterari, minimizzando il dolore e la morte in forma ludica.

Il macchinario propagandistico creato appositamente per la Prima Guerra Mondiale, il cosiddetto “K. u. K. Kriegspressequartier” (“Il Quartiere Imperialregio di Stampa di Guerra”) infiltrava in maniera mirata diversi settori mediatici.

Il medium del film fu utilizzato per la prima volta a fini propagandistici, e fu sottoposto a una severa censura statale che mirava alla demoralizzazione del nemico e contemporaneamente rafforzamento della morale nel combattimento e per la vittoria del proprio popolo.

Caricature e cartoni animati, per i quali furono assunti noti caricaturisti e disegnatori quali Theo Matejka, Karl Robitschenk e Theo Zasche, rappresentavano uno strumento privilegiato della formazione dell’opinione, esattamente come manifesti e volantini.

Stefan Zweig descrive così l’entusiasmo nei confronti della guerra, dal quale fu preso egli stesso: “[…] ogni singolo individuo vive una crescita del proprio Sé, non era più l’uomo isolato di un tempo, era parte di un popolo e al contempo la sua stessa persona, la sua persona, che altrimenti sarebbe restata inosservata, aveva ora un senso”[ii].

Una tesi cerca di spiegare questa posizione nel fatto che la maggior parte degli artisti e degli intellettuali austriaci era fortemente influenzata dalla cultura tedesca e non aveva legami a livello internazionale. Questo rappresentava un modo, dunque, per ricordare le loro radici culturali.

Altre interpretazioni vedono come origine l’insicurezza determinata dal brusco sviluppo della prima globalizzazione del 1850/1870, che non puntava a rompere le incrostate strutture sociali ma che anzi aveva inasprito il conflitto intersociale. Dalla guerra si auspicava “un effetto purificatore e liberatorio” che avrebbe dovuto spianare la strada alla modernità.

Infine la Prima Guerra Mondiale doveva contribuire a una soluzione del conflitto tra le nazioni e alla questione dell’identità nell’Impero Asburgico.

Stefan Zweig, Reiner Maria Rilke, Alfred Polgar e Franz Werfel facevano parte del gruppo letterario dell’Archivio Bellico Viennese. Il loro compito era quello di impegnare le loro doti letterarie a fini propagandistici e creare per la stampa il mito dell”eroe di guerra”.

Persino intellettuali come Robert Musil, Hugo von Hofmannsthale ed Egon Werwin Kisch misero a disposizione la propria creatività, spesso in maniera non del tutto volontaria, al servizio di questo gruppo letterario.

Molti artisti, tuttavia, modificarono la propria opinione nel corso della guerra e addirittura si attivarono in azioni di contropropaganda. Dopo aver fatto personali esperienze di guerra profondamente laceranti, Stefan Zweig divenne pacifista e Rainer Maria Rilke, più saggiamente, abbandonò dopo pochissimo tempo il gruppo letterario.

Il cosiddetto gruppo musicale del Quartiere Imperialregio di Stampa di Guerra del Ministero Bellico Imperialregio, contava compositori come Bela Bartok, Zoltan Kodaly, Viktor Ullman, Hans Kràsa e Alois Hàba, e organizzava concerti e manifestazioni musicali sul fronte.

Germania

Che anche nel Reich Tedesco ci fossero abbastanza intellettuali e artisti favorevoli alla guerra, è dimostrato dal cosiddetto “Aufruf an die Kulturwelt” (“Appello al mondo civile” o “Manifesto dei novantatre”) pubblicato e sottoscritto nell’ottobre 1914 da ben 93 rinomati uomini di scienze e di lettere.

Tra gli artisti ricordiamo Thomas Mann, che con l’opera Considerazioni di un impolitico cercava di giustificare la sua posizione. Nel testo lo scrittore dichiarava di essere in guerra con una “civilizzazione” e una razionalità illuminista che uccideva tutto ciò che di primigenio ed elementare esisteva. Thomas Mann pensava che soltanto l’arte fosse in grado di mantenere il contatto con tali forze irrazionali che rappresentavano l’origine stessa della “cultura”.

Poco tempo dopo la pubblicazione del testo, Thomas Mann prese le distanze dalle sue “considerazioni” e successivamente si dichiarò con veemenza contrario ai “veri nemici della Germania, i fascisti”[iii].

A pacifisti convinti e cittadini del mondo come Albert Einstein, Friedrich Wilhelm Foerster e Herman Hesse non fu affatto chiesto se desiderassero sottoscrivere “L’appello al mondo civile”. Alcune personalità come l’economista di Monaco Lujo Brentano e il fisico Max Planck ritirarono con forza il proprio sostegno all’invito, poiché il testo completo non era ancora disponibile al momento della firma.

La cosidetta Zentralstelle für Auslandsdienst (“Centrale per il servizio estero”), la Militärische Stelle des Auswärtigen Amtes (“Centrale militare dell’Ufficio Esteri”) e il Bild- und Filmamt (“l’Ente per le immagini e la cinematografia”), detto BUFA, erano responsabili della propaganda di guerra nel Reich tedesco.

Francia

Anche in Francia si riconobbe l’utilità della propaganda ai fini bellici portata avanti dalla Maison de la Presse, che coinvolse nel macchinario propagandistico artisti e intellettuali.

Il famoso compositore francese Maurice Ravel era così preso da sentimenti patriottici che, nonostante fosse stato considerato inabile per la bassa statura – misurava 1,61 m d’altezza – riuscì a partecipare alla guerra. Nel 1915 fu infatti arruolato come autista del servizio sanitario del 13° reggimento d’artiglieria.

Ravel non aveva grande considerazione della “Lega a difesa della musica francese”, che vietò la pubblicazione di opere di compositori tedeschi e austriaci: “ la nostra grandiosa arte atonale degenererebbe innegabilmente e si ridurrebbe a formule fatte con lo stampino. Mi preoccupa poco che Monsieur Schönberg sia ad esempio austriaco”[iv].

Gran Bretagna

In Gran Bretagna il War Propaganda Bureau si occupò, in un primo momento segretamente, di sensibilizzare i soldati britannici, dal momento che il servizio di leva non era obbligatorio.

Già nei primi cinque mesi di guerra furono prodotti 2,5 milioni di manifesti propagandistici con 110 motivi diversi. Inoltre testi letterari, scritti dai noti scrittori H. G. Wells e Arthur Conan Doyle, influenzarono in prima linea i responsabili delle decisioni politiche nei paesi neutrali.

Il National War Aim Commitee dominava la propaganda interna e il servizio informazioni MI-7 dell’esercito dirigeva la guerra psicologica presso le truppe avversarie.

Già a inizio guerra, il 2 settembre 2014, si incontrarono a Londra noti intellettuali come Thomas Hardy, Rudyard Kipling e H. G. Wells, che insieme coordinarono una campagna poetico-letteraria per la politica governativa. Poco dopo, 40 intellettuali britannici consegnarono una dichiarazione comune per la giustificazione morale dell’entrata in guerra.

USA

Negli Stati Uniti si pose grande valore nel sostenere la propria superiorità morale e la propria idea di democrazia. Grazie a diverse campagne si cercò di suscitare lo sdegno del popolo e in questo modo determinare la sua predisposizione nei confronti della guerra.

Un discorso di Charlie Chaplin volto a entusiasmare la popolazione verso il conflitto fu trasmesso sulle piazze pubbliche mentre nei cinema venivano proiettati cartoni animati che ricordavano l’abbattimento della RMS Lusitania ad opera di un sommergibile tedesco.

Italia

In Italia, che entrò in guerra soltanto il 23 maggio 1915, lo scrittore Gabriele D’Annunzio rappresentò uno dei fautori più infiammati dell’entrata in guerra.

Il 9 agosto 1918 Gabriele D’Annunzio, insieme a dieci altri piloti, si fece portatore di un’audace azione che inscenò un volo propagandistico sui cieli di Vienna nel corso del quale circa 300.000 volantini, di cui 50.000 scritti di suo pugno, furono lanciati in aria. D’Annunzio sostenne anche il movimento interventista, che infine spinse l’Italia nella Prima Guerra Mondiale.

Lo scrittore e poeta Filippo Marinetti sosteneva che la poesia dovesse onorare la guerra come “unico strumento d’igiene del mondo”[v] e in un articolo dal titolo “Amiamo la guerra!” il fondatore della rivista Lacerba Giovanni Papini descrisse il conflitto come un “male necessario per la crescita morale di un popolo”[vi].

In Italia non si era preparati sufficientemente alla Prima Guerra Mondiale, sia da un punto di vista militare che psicologico, ancor più importante dunque era il rafforzamento dell’euforia bellica nella popolazione attraverso volantini, cartoline, libri, articoli, manifesti, etc.

Effetti sull’arte

Nonostante la morte, il dolore e l’orrore, o forse proprio per questo, la guerra offrì comunque nuovi stimoli. I movimenti avanguardistici, come l’Impressionismo e l’Espressionismo, continuarono a crescere spianando la strada a nuove correnti artistiche come ad esempio il Dadaismo.

Il Dadaismo, fondato nel 1916 a Zurigo, distrusse tutti gli ideali artistici esistenti contrapponendo l’insensatezza della guerra all’insensatezza dell’arte.

Tutti quei valori “borghesi”, che potrebbero essere associati alla guerra e alle sue giustificazioni intellettuali, come ad esempio l’arte, la cultura e il senso della propria patria, furono radicalmente relativizzati dal Dadaismo o messi al ridicolo.

Nel 1919 l’architetto Walter Gropius fondò a Dessau e a Weimar il Bauhaus, una comune lavorativa, in cui si eliminava la differenza tra artisti e artigiani, mentre le differenze sociali non avevano più alcun ruolo.

Gli orrori della guerra di trincea lasciarono presso i diretti partecipanti ricordi permanenti che questi cercarono spesso di elaborare attraverso diari e romanzi. Spesso tali romanzi contenevano un evidente messaggio contro la guerra, ad esempio “Nulla di nuovo sul fronte occidentale” del 1928/29 o “La via del ritorno” di Erich Maria Remarque.

Giuseppe Ungaretti affermò di essere diventato poeta soltanto attraverso la trincea e compose con le sue prime due raccolte di liriche “Il porto sepolto” e “Allegria di naufragi” veri e propri diari di guerra poetici.

Altri scrittori realizzarono un quadro della guerra piuttosto celebrativo come ad esempio “In Stahlgewittern – Aus dem Tagebuch eines Stoßtruppführers” (“Nelle tempeste d’acciaio”) di Ernst Jünger (1920).

Già durante la guerra Stefan George aveva composto la sua grande poesia “Der Krieg” (“La guerra”), dove esprimeva il suo disgusto per la guerra di trincea:

Der selbst lacht grimm wenn falsche heldenreden

Von vormals klingen der als brei und klumpen

Den bruder sinken sah der in der schandbar

Zerwühlten erde hauste wie geziefer

 

Colui che ride amaro all’echeggiare di falsi discorsi d’eroi

Aveva visto il fratello affondare, ridotto in brandelli,

dimorare nella terra oscenamente scomposta

come bestie sacrificali

 

Ernst Jandl utilizzò nella sua poesia avocalica „schtzngrm“ del 1957 la parola „trincee di difesa“ per rappresentare gli assordanti avvenimenti della guerra in trincea. Le consonanti formano nuove sillabe, che ricordano le salve dei fucili o gli scoppi delle granate, un’immagine onomatopeica della guerra di trincea con la morte di un soldato.

Otto Dix cercò di elaborare le sue esperienze al fronte attraverso immagini cupe che esprimevano l’orrore dei combattimenti mentre Max Beckmann scrisse dalla trincea: “Meine Kunst kriegt hier zu fressen” (“La mia arte qui ha di che cibarsi”)[vii]

 

Beckmann, che si era arruolato volontario, scoprì nella guerra nonostante tutto l’orrore, una sorta di bellezza, mai vista prima, che si mostrava soltanto nel dolore, e soprattutto nel passaggio alla morte: “fabelhafte Sachen sah ich. In dem halbdunklen Unterstand halb entkleidete, blutüberströmte Männer, denen die weißen Verbände angelegt wurden. Groß und schmerzlich im Ausdruck. Neue Vorstellungen von Geißelungen Christi“[viii].

 

Georg Grosz, che si arruolò in un primo tempo volontario, nel maggio 1915 era già stato dichiarato inabile e disegnò prevalentemente campi di combattimento ricoperti di cadaveri.

 

Ernst Ludwig Kirchner non si riprese mai da un’infezione ai polmoni presa in guerra né tantomeno dalle sue orribili esperienze sul fronte.

L’artista scrisse al suo amico Schiefler, che in guerra “ultimamente era diventato piuttosto matto”[ix] e che “aveva paura delle uniformi”[x].

Il più impressionante lavoro in questo contesto è il dipinto “Selbstbildnis als Soldat” (“Ritratto da soldato”) del 1915.

Fritz Kreisler descrisse le sue esperienze traumatiche nel suo unico libro mai pubblicato “Vier Wochen im Schützgraben – die Kriegserlebnisse eines Geigers” (“Quattro settimane in trincea, le esperienze di guerra di un nemico”) e si esibì a partire dal dicembre 1914 per la prima volta come solista. Nel corso delle sue tournee negli Stati Uniti, tuttavia, in quanto ex-ufficiale austriaco, fu visto come nemico politico e addirittura come spia del nemico e pertanto non ebbe più la possibilità di concentrarsi sulla composizione.

Anton Webern a quanto pare si lasciò inspirare nella composizione dei suoi pezzi atonali dal frastuono del rombo dei cannoni. Allo stesso modo Camille Saint-Saëns, che affermò che le proprie opere erano state influenzate dalle folle entusiaste per la guerra, e dal frastuono del conflitto.

Claude Debussy, dal canto suo, espresse la sua compassione per le vittime della guerra nella sua composizione “Noel des enfants qui n’ont plus de maison” (“Natale per bambini che non hanno più una casa”).

Nonostante la perdita del braccio destro in combattimento, il pianista Paul Wittgenstein ebbe una carriera mondiale e le sue composizioni per pianoforte per mano sinistra hanno influenzato in maniera permanente grandi come Sergej Prokof’ev, Erich Wolfgang Korngold, Paul Hindemith, Maurice Ravel e Richard Strauß.

Il numero dei cinema cresceva a dismisura in tutto il mondo, poiché il pubblico poteva prendere parte ai più importanti eventi attraverso lo schermo cinematografico. In realtà morte e dolore non venivamo rappresentati nei cinegiornali quanto piuttosto” immagini delle fosse degli eroi […], dove i nostri eroi riposano su terra straniera come in madrepatria”[xi].

Da una parte ciò lascia trasparire la severa censura e dall’altra la posizione spesso nazionalistica dei cameraman che consideravano il mantenimento dell’euforia per la guerra come parte del proprio lavoro.

Ciononostante il medium cinematografico, che era stato strumentalizzato in un primo momento a fini propagandistici, visse negli anni Venti un grande successo in tutto il mondo e divenne un medium di massa.

La frustrazione nei confronti della divisione dell’Austria-Ungheria in seguito ai Trattati di Parigi del 1919/20 determinò il rafforzamento del pensiero dell”Anschluss” alla Germania nella popolazione austriaca, se questo fosse vietato dal diritto internazionale.

L’alto livello di disoccupazione, le difficoltà nella produzione e nell’approvvigionamento, l’impoverimento della popolazione, i traumi e l’abbrutimento portarono a maggiore disponibilità alla violenza.

Attraverso gli effetti della propaganda bellica si arrivò a una crescente ideologizzazione e militarizzazione di ceti sociali che cominciarono a organizzarsi in nuclei armati.

Con l’avvento del Nazionalsocialismo l’efficace macchinario della propaganda bellica della Prima Guerra Mondiale fu utilizzato in maniera mirata per aumentare la frustrazione delle masse e spingerle verso una nuova guerra.

 

Testo di Melinda Mögele

Traduzione di Madeira Giacci


[i] Richard Herzinger, Die Große Reinigung oder Weltkrieg für die neue Menschheit, in „So ist der Mensch…“ – 80 Jahre Erster Weltkrieg, Eigenverlag der Stadt Wien, p. 199.

[ii] Oliver Rathkolb, Grundlagenpapier Österreichischer WissenschaftlerInnen.

[iii] Thomas Assheuer, Betrachtungen eins Unpolitischen (nuova edizione), Thomas Mann.

[iv] Maurice Ravel, Wikipedia

[v] Carlotta Ricci, La guerra nella letteratura e nell’arte. www.studenti.it/didattica/approfondimenti/Tesinaguerra3.php

[vi] Carlotta Ricci, La guerra nella letteratura e nell’arte. www.studenti.it/didattica/approfondimenti/Tesinaguerra3.php

[vii] http://oe1.orf.at/programm/359985

[viii] Beckmann citato da Christian Lenz, Kirchner – Meidner – Beckmann, Drei deutsche Künstler im Ersten Weltkrieg in „Schriften des Historischen Kollegs, Kollegien 34, Oldenburg Verlag München, 1996; p. 171

[ix] Kirchner citato da Christian Lenz, Kirchner – Meidner – Beckmann, Drei deutsche Künstler im Ersten Weltkrieg in „Schriften des Historischen Kollegs, Kollegien 34, Oldenburg Verlag München, 1996; p. 171

[x] ibidem

[xi] Lichtbildbühne del 20 gennaio 1917

 

 

Bibliografia:

– Thomas Assheuer, Neuausgabe der „Betrachtungen eines Unpolitischen“ von Thomas Mann

– Richard Herzinger, Die Grosse Reinigung oder Weltkrieg für die neue Menschheit, in „ So ist der Mensch…“ 80 Jahre Erster Weltkrieg, Eigenverlag der Stadt Wien, 1994, p. 15

– Bernd Kleinhans, der erste Weltkrieg als Medienkrieg: Wochenschau, Spielfilm und Propaganda zwischen 1914 und 1918

– Christian Lenz in Kirchner – Meidner – Beckmann: drei deutsche Künstler im Ersten Weltkrieg, in Schriften des Historischen Kollegs, Kolloquien 34, Oldenburg Verlag, München, 1996, p.171

– Andrea Linsbauer, Das Wienerische Moment in den Kompositionen Fritz Kreislers, Peter Lang-Verlag, Frankfurt/Main, 2009, p. 16

– Oliver Rathkolb, Grundlagenpapier Österreichischer WissenschaftlerInnen

– Carlotta Ricci, La guerra nella letteratura e nell’arte. http:// www.studenti.it/didattica/approfondimenti/Tesinaguerra2.php

– Joes Segal, Krieg als erlösende Perspektive für die Kunst, in Schriften des Historischen Kollegs, Kolloquien 34, Oldenburg Verlag, München, 1996, p. 165

– Horst Thome, Der Krieg und die Sprache, in „ So ist der Mensch…“ 80 Jahre Erster Weltkrieg, Eigenverlag der Stadt Wien, 1994

– Rüdiger Vom Bruch, Geistige Kriegspropaganda. Der Aufruf von Wissenschaftlern und Künstlern an die Kulturwelt, in Themenportal Europäische Geschichte, 2006

– Lichtbildbühne del 20 gennaio 1917

– Maurice Ravel, Wikipedia

– Ö1 macht Schule: Der Erste Weltkrieg als Epochenbruch. Die Geburtsstunde des 20. Jahrhunderts

– http://oe1.orf.at/programm/359985

– http://de.wikipedia.org/wiki/Propaganda_im_Ersten_Weltkrieg

– http://www.zeit.de/2010/10/L-B-Betrachtungen

– http://www.dhm.de/lemo/html/wk1/kunst

– http://www.reise-nach-italien.de/dannunzio-wien-1918.html

 

Link zum Rauchensteiner-Text